Estratto Capitolo 37 "Autobiografia di uno yogi"

Mahavatar Babaji e Sri Yukteswar impartirono la loro potente benedizione a Yogananda per il suo viaggio in America

[…] Nell’accingermi a compiere i preparativi per lasciare il Maestro e la mia terra natia per le rive sconosciute dell’America, provavo non poca trepidazione. Avevo udito molti racconti sull’atmosfera materialistica dell’Occidente, assai diversa dal retroterra spirituale dell’India, pervaso dall’aura secolare dei santi. «Un maestro orientale che osi sfidare i venti occidentali» pensai «dovrà saper resistere a prove ben più ardue di qualsiasi freddo himalayano!».
Un giorno, di primo mattino, iniziai a pregare con la ferrea determinazione di continuare, anche a costo di morire pregando, finché non avessi udito la voce di Dio. Volevo la Sua benedizione e la rassicurazione che non mi sarei perduto nelle nebbie del moderno utilitarismo. Il mio cuore era deciso ad andare in America, ma era ancor più risoluto a ricevere il conforto della divina approvazione.

Pregai e pregai, soffocando i singhiozzi. Non giunse alcuna risposta. La mia silenziosa suppli-ca aumentò d’intensità in un angoscioso crescendo finché, a mezzogiorno, raggiunsi l’apice; il mio cervello non poteva più reggere la pressione dei miei tormenti. Sentivo che mi sarebbe scoppiato se avessi implorato una volta di più, rendendo ancor più profonda la mia passio-ne interiore. In quel momento si udì battere un colpo dall’anticamera adiacente alla stanza di Gurpar Road dove ero seduto. Aprendo la porta, vidi un giovane nella succinta veste dei rinuncianti. Egli entrò, chiuse la porta dietro di sé e, respingendo il mio invito a sedersi, mi indicò con un gesto che desiderava parlarmi rimanendo in piedi.

«Deve essere Babaji!» pensai attonito, visto che l’uomo che mi stava dinanzi aveva i lineamenti di Lahiri Mahasaya, ma con un aspetto più giovane.

Egli rispose al mio pensiero. «Sì, sono Babaji». Parlava melodiosamente in hindi. «Il nostro Padre Celeste ha ascoltato la tua preghiera. Egli mi ordina di dirti: “Segui i suggerimenti del tuo guru e va’ in America. Non temere; sarai protetto”».

Dopo una pausa vibrante, Babaji mi parlò di nuovo. «Tu sei colui che ho prescelto per diffondere il messaggio del Kriya Yoga in Occidente. Molto tempo fa incontrai il tuo guru Yukteswar a un Kumbha Mela; gli dissi allora che ti avrei mandato da lui per ricevere i suoi insegnamenti».

Ero incapace di parlare, soffocato dal timore reverenziale colmo di devozione che m’incuteva la sua presenza e profondamente commosso nell’udire dalle sue labbra che egli stesso mi aveva guidato fino a Sri Yukteswar. Mi prostrai ai piedi del guru immortale. Egli, affabilmente, mi risollevò da terra. Dopo avermi detto molte cose sulla mia vita, mi diede delle istruzioni personali e pronunciò alcune segrete profezie.

«Il Kriya Yoga, la tecnica scientifica di realizzazione di Dio» disse poi solennemente «finirà per diffondersi in tutti i Paesi e contribuirà a creare armonia fra le nazioni attraverso la personale percezione trascendente, da parte dell’uomo, del Padre Infinito».

Con uno sguardo di maestosa potenza, il maestro mi elettrizzò facendomi intravedere per un istante la sua coscienza cosmica. Poco dopo egli si diresse verso la porta.

«Non cercare di seguirmi» disse. «Non ci riuscirai».

«Vi prego, Babaji, non andatevene!» gridai più volte. «Portatemi con voi!».

Volgendo lo sguardo verso di me, egli rispose: «Non ora. Un’altra volta».

Sopraffatto dall’emozione, non tenni conto del suo avvertimento. Quando feci per rincorrerlo, scoprii che i miei piedi erano saldamente radicati a terra. Dalla porta, Babaji mi rivolse un ultimo sguardo d’affetto. Sollevò la mano in un gesto di benedizione e se ne andò, mentre i miei occhi restavano appassionatamente fissi su di lui.

Dopo qualche minuto avevo di nuovo i piedi liberi. Mi sedetti ed entrai in profonda meditazione, ringraziando incessantemente Dio non solo di aver esaudito la mia preghiera, ma di avermi anche benedetto concedendomi un incontro con Babaji. Tutto il mio corpo sembrava santificato dal tocco del maestro antico e perennemente giovane. Da tanto tempo ardevo dal desiderio di vederlo.

Finora non avevo mai raccontato a nessuno l’episodio del mio incontro con Babaji. Considerandola la più sacra fra le mie esperienze umane, l’avevo celata nel mio cuore. Ho ritenuto, tuttavia, che i lettori di questa autobiografia potranno essere più propensi a credere alla real-tà del solitario Babaji e all’interesse che egli nutre per il mondo, se sapranno che io l’ho visto con i miei occhi. Ho aiutato un artista a disegnare un ritratto veritiero del grande Cristo-Yogi dell’India moderna, che è stato riprodotto in questo libro.

La vigilia della mia partenza per gli Stati Uniti trascorse alla santa presenza di Sri Yukteswar.

«Dimentica di essere nato indù e non diventare americano. Prendi il meglio da entrambi i popoli» disse il Maestro con la sua calma saggezza. «Sii il tuo vero sé, un figlio di Dio. Ricerca e integra nel tuo essere le qualità migliori di tutti i tuoi fratelli, sparsi sulla terra nelle varie razze».

Poi mi benedisse: «Tutti coloro che verranno a te con fede, alla ricerca di Dio, saranno aiutati. Quando li guarderai, la corrente spirituale che irradia dai tuoi occhi penetrerà nel loro cervello e modificherà le loro abitudini materiali, rendendoli più consapevoli di Dio».

Proseguì dicendo: «La tua sorte di attrarre le anime sincere è assai propizia. Ovunque an-drai, persino in una landa desolata, troverai degli amici».

Entrambe le sue benedizioni si sono ampiamente realizzate. Giunsi da solo in America, terra sconosciuta dove non avevo neppure un amico, ma ne trovai a migliaia, pronti ad accogliere gli insegnamenti per l’anima che hanno superato la prova del tempo.

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